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Essere arbitro: cosa mi ha insegnato?

Esiste una categoria che senza formazione specifica prende centinaia di decisioni in pochissimo tempo e in condizioni difficili. Oggi parliamo di arbitri.

Esiste una categoria, in ambito sportivo che, senza master, senza corsi di comunicazione, senza formazione specifica di problem solving, prende centinaia di decisioni in pochissimo tempo e, spesso, in condizioni ambientali difficili.

Signore e signori, oggi parliamo di arbitri.

L'arbitro è una delle figure più discusse e da sempre, specialmente in Italia, viene considerato come un "male necessario".

Se seguite un minimo di sport, sfido chiunque di voi a non averne mai insultato uno.

Lo capisco, ci sta. Cioè non ci sta, ma me ne sono fatto una ragione. È una cosa che ci fa sentire meglio quando la nostra squadra preferita perde ed è molto più facile dare la colpa a lui che ai 5 / 11 / "x" giocatori che sono in campo.

Ma perchè stiamo parlando di arbitri?

Qualche mese fa mi aveva colpito un post condiviso dalla @giornataTipo nel quale si vede che alla fine di una partita di NBA tra Los Angeles Lakers e Boston Celtics non viene fischiato un chiaro fallo su Lebron James.

Partita che finisce in parità. Partita che va ai supplementari e partita persa dalla squadra che ha subito l'errore.

Polemiche a non finire. Blah blah blah... Solite cose insomma. Niente di nuovo. Colpa degli arbitri.

Qualche giorno dopo, però, c'è stata la risposta da parte dell'account ufficiale degli arbitri NBA.

Come tutti, anche gli arbitri commettono errori. [...]

Devo ammettere che quando ho visto il tweet sono rimasto un po' scioccato e ho dovuto controllare che fosse effettivamente il profilo ufficiale.

Non me lo sarei mai aspettato.

"Come tutti, anche gli arbitri possono sbagliare".

Spesso, troppo spesso, ce ne dimentichiamo.

Un arbitro durante una partita valuta un'infinità di informazioni e situazioni che vengono processate nella mente e solo una piccola parte di esse, viene comunicata all'esterno attraverso un fischio, mentre tutte le altre vengono ritenute non meritevoli di intervento.

Ma perchè tutta questa introduzione? Perché stiamo parlando di arbitri?

Da più di sedici anni faccio parte di quelle persone che, il sabato e la domenica (e anche durante la settimana), scendono sui campi vestiti di grigio, a prender parole.

Me stesso, mentre alzo la palla a due di una partita di C Gold.
Me stesso, mentre alzo la palla a due di una partita di C Gold.

Oggi mi piacerebbe raccontarti un pezzettino della mia storia.

Mi piacerebbe raccontarti perchè sono diventato un arbitro e quanto questo, mi sia stato utile nella vita di tutti i giorni.

Iniziamo!

Più di 20 anni fa, dopo tanti anni passati a tirare calci ad un pallone in giardino e sui campetti, un mio amico, mi chiese di provare a giocare a basket.

Non so bene per quale motivo accettai, ma da li a poco, la mia vita cambiò.

Mi allenavo 3 volte alla settimana, ma ben presto capii che il mio ruolo, al massimo, poteva essere quello del capo panchina. Mi reputo un ottimo compagno di squadra, quello che fa squadra, che tifa i compagni, che è sempre presente ma non posso dire di esser stato un bravo giocatore.

Anzi, devo dire, con estrema sincerità, che ero proprio una schiappa.

A contribuire alla mia poca capacità di giocare la montatura degli occhiali non aiutava per niente.

Il basket in fin dei conti è uno sport di contatti e io avevo troppa paura di rompermi quei preziosi oggetti di vetro/plastica che indossavo (no, se te lo stai chiedendo non portavo le lenti a contatto) e che mi permettevano di godere delle meraviglia del mondo.

Fin qui, tutto nella norma. Abbiamo un giocatore scarso, con gli occhiali. Direi che siamo già sulla buona strada per diventare arbitri.

L’ambiente mi piaceva e crescendo la palestra era diventata la mia seconda casa.

Ci passavo davvero un sacco di tempo. Tornavo a casa da scuola, mangiavo, facevo i compiti (non sempre :)) e volavo in palestra.

Dopo poco tempo che frequentavo la palestra iniziai a dare una mano con i gruppi dei più piccoli per poi aspettare l’allenamento della sera. Tornavo a casa, mangiavo e andavo a letto. E via, di nuovo. Cosi, tre volte a settimana.

Il sabato e la domenica erano un po' diversi. Non importava la categoria. Io ero lì. A guardare più partite che potevo. Una dopo l’altra.

Il basket mi aveva letteralmente rapito.

Ma c'era un problema.

Alle partite dei più piccoli non venivano mandati gli arbitri.

E quindi immaginate un po'?

A 15 anni circa avevo iniziato a rendermi utile facendo quello che nessuno voleva fare.

Avevo iniziato a "tirare" qualche fischio durante le partite del minibasket.

Dopo aver fatto le prime partite avevo deciso. Volevo fare il corso per diventare arbitro. Me lo consigliarono Elena e Massimo, due persone splendide che all'epoca seguivano la squadra nella quale giocavo.

Ero però ancora troppo piccolo e ho dovuto aspettare quasi un altro anno per poter fare il corso.

A 16 anni, dopo una decina di lezioni, finalmente, diventai ufficialmente arbitro. MiniArbitro in realtà perchè dovete sapere che fino ai 18 anni non si è arbitri.

Ma a me non importava.

Io ero letteralmente E U F O R I C O.

Non vedevo l’ora di iniziare.

Preparai la mia borsetta con la mia divisa grigia, i pantaloni neri e il fischietto.

Salii in macchina di papà e andammo verso la prima palestra.

La mia prima partita. Finalmente. Non mi sembrava vero.

E così, iniziò la mia avventura da arbitro e, come tutte le belle storie, no niente bella storia.

La partita fu un disastro.

Non riuscivo a fischiare, il fischio non si sentiva, indicazioni sbagliate, falli non pervenuti e insulti a non finire.

Risultato? Volevo smettere.

Era troppo difficile. Troppa pressione. Troppo stress.

No, no e no. Quella cosa non faceva per me. Basta. Chiudo la mia carriera arbitrale. Che lo vadano a fare gli altri.

Immaginatevi il gruppo whatsapp dei genitori di classe. Avete presente quel posto terribile (di cui io ho solo sentito parlare)? Peggio. Molto peggio.

Immaginatevi padri e madri di piccoli Kobe Bryant, LeBron James e Michael Jordan che iniziano a lamentarsi, ad insultarvi e ad urlarvi contro di tutto non appena il figlio veniva sfiorato.

Non lo auguro a nessuno.

Quell'esperienza mi aveva fatto capire che quella cosa, l'arbitraggio, non faceva per me.

Ero troppo timido, c'era troppa pressione. Non c'era margine di errore e non si poteva sbagliare nulla. Ogni errore, lo si pagava a caro prezzo. Quando andava bene erano solo urla e quando andava meno bene c'erano anche gli insulti.

Li non ero a “casa” (nella palestra dove arbitravo i piccoli), ero in campo neutro e nessuno mi conosceva. Ripeto. Fu un vero disastro. Se ci ripenso oggi, ancora ci sto male.

Nonostante tutto, dopo quella prima partita, non chiedetemi come e perché, ma il numero di partite è cresciuto di anno in anno.

In realtà non so bene cosa mi abbia spinto a continuare. Non lo ricordo.

Tant'è che, dopo più di 16 anni, nonostante tutto, continuo a scendere ancora in campo.

Da allora, ne sono successe di ogni e la mia "valigia delle esperienze" si è notevolmente ingrandita.

Ho avuto la possibilità di girare tanto, di fare tornei in tutta Italia, di conoscere tantissime persone, di fare delle bellissime esperienze, di fare delle bruttissime esperienze, di arbitrare con tantissimi colleghi, di arbitrare partite belle e meno belle, di arbitrare bene, di arbitrare male, di arbitrare finali e di non arbitrare le partite più importanti della stagione.

Insomma, ho gioito, ho sofferto, ho vinto, ho perso, ho fatto belle esperienze, altre meno belle, mi sono messo in gioco, ho dato il massimo, mi sono allenato, ho passato momenti bellissimi e momenti difficili, sono stato promosso in categorie più alte e ho dovuto affrontare delusioni più o meno importanti.

Diventare arbitro è stata un'esperienza che ha cambiato e segnato per sempre la mia vita, per molti aspetti.

Oltre ad essere arbitro, da più di 8 anni sono anche istruttore/formatore degli arbitri più piccoli e per un anno sono stato il referente provinciale per Treviso.

Le moltissime esperienze, unite alla passione e ad una voglia costante di migliorarmi sono state per me di grande aiuto anche per quanto riguarda il mondo del lavoro.

Cosa mi ha insegnato l'essere arbitro?

L’arbitro è un esempio per gli altri, in qualunque contesto si trovi.

Questa frase mi fa venire la pelle d'oca.

Essere arbitro, come ho detto, mi ha senza dubbio, indelebilmente e profondamente segnato.

È parte della mia vita, è un ruolo ma è anche un modo d'essere, di vivere. È un percorso che mi ha dato tanto e mi ha insegnato tanto.

Le cose che ho imparato durante tutti questi anni e che oggi, quasi ogni giorno, mi tornano utili sono:

Probabilmente ho dimenticato qualcosa.

Però c'è un'ultima cosa che non vi ho detto. Forse la più incredibile. Essere arbitri permette di entrare a far parte di un gruppo incredibile di persone. Persone di ogni tipo, di ogni genere, di ogni età, da ogni parte dell'Italia.

Tutti possono essere arbitri. Dai 14 anni (si, ora il regolamento è cambiato) in su, si può diventare arbitri. Non ci sono "regole".

Essere arbitri significa conoscere persone e culture diverse, significa instaurare rapporti di amicizia, significa avere tantissime persone che condividono la tua stessa passione, essere arbitri significa far parte di un gruppo, di una squadra.

Per questo, proprio per ultimo, voglio dedicare le ultime righe di questo infinito testo alle persone che ho incontrato durante il mio percorso di arbitro.

Molti sono passati, ma alcuni sono rimasti.

All'inizio erano semplici arbitri, come me, poi sono diventati colleghi, poi amici e poi compagni di mille avventure, non solo nel mondo dello sport, ma nella vita in generale.  Sto parlando di Paolo, di Giovanni (x2), di Fede e di tutti gli altri che non ho nominato.

Grazie di cuore, ragazzi.

E infine, la pallacanestro mi ha dato forse la cosa più bella che potesse capitarmi, perchè mi ha fatto conoscere Sara, un'Ufficiale di Campo che, con quel sorriso enorme, ormai più di 5 anni fa, mi ha fatto innamorare e che ora è la mia compagna di vita.

Alla pallacanestro e al mondo arbitrale, come avete avuto modo di leggere, devo tanto.

Il basket per me, non è solo uno sport, ma è parte fondamentale della mia vita.

Auguro a tutti i ragazzi che oggi iniziano questo percorso di vivere tutto quello che ho vissuto e di poter dire, guardandosi indietro, che è la miglior droga di cui hanno bisogno.

Perché, ve lo assicuro, crea dipendenza.

GRAZIE DI CUORE PALLACANESTRO. Grazie di cuore Arbitri.

Michele Tondato | tond.it

Ciao, sono Michele.

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